Cosa sono gli stable coin e perché sono importanti

Uno stable coin è letteralmente un coin emesso e scambiato sulla blockchain esattamente come vengono scambiati i bitcoin, gli ether, i moneto eccetera, ma il cui prezzo è, per un qualche meccanismo implementato allo scopo, mantenuto stabile, o pressoché stabile, o diremo meglio stabile entro delle condizioni di funzionamento e entro dei limiti superati i quali la stabilità non può essere più garantita e anzi si rischia un collasso immediato.

La necessità di stabilità per le criptovalute ha delle ragioni ben fondate. Se  si analizza il prezzo di quella che è probabilmente la più stabile fra le criptovalute, ovvero il bitcoin, ci si rende consento di quanto questa abbia attraversato delle fasi di crescita quasi esponenziale intervallate da delle repentine cadute di prezzo rispetto al USD. Nonostante questo possiamo considerare bitcoin la più stabile delle cripto perché se andiamo ad analizzare l’andamento delle altre valute diciamo minori queste sono state capaci di performance strabilianti, con guadagni 20x o 100x in un anno e improvvisi crolli degni di schema ponzi.

La volatilità di bitcoin intesa come deviazione standard normalizzata al prezzo, è sicuramente oggi inferiore alla volatilità di tre anni fa o di cinque anni fa. Bitcoin sta diventando grande, compie dieci anni e ha mostrato di essere negli ultimi mesi più stabile di altri asset come ad esempio le azioni Amazon.

Bitcoin ha attraversato fasi di grande volatilità, rampe di crescita esponenziale e lunghi periodi di stagnazione e anche di perdita di prezzo, tuttavia resta un fatto, sul lungo periodo, e ormai sono dieci anni , il trend del prezzo di bitcoin è sempre positivo, se si tira una linea per linearizzare il suo andamento su un periodo medio lungo, si ottiene sempre una rampa verso l’alto.

Questo fa di bitcoin un asset che siamo più propensi a conservare piuttosto che a spendere. Come la moneta buona scaccia quella cattiva, se abbiamo un bitcoin in tasca, o meglio nel wallet, a meno che proprio non abbiamo la necessità di incassarlo, preferiamo spendere la moneta fiat piuttosto che il bitcoin. Questo perché anche nei momenti duri chi lo ha conosciuto dall’inizio sa che il potenziale di crescita è ancora lì pressoché immutato.

Questo è forse un pregio per il cosiddetto cassettista, ma per quanto riguarda la moneta in sé è una limitazione al suo utilizzo per i pagamenti contro beni e servizi.

(Sì, ho detto “cassettista”)

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Quindi la volatilità nel breve periodo e il trend positivo nel lungo periodo creano un clima di incertezza che in qualche modo blocca alcune categorie di utenti per i quali le criptovalute rimangono ancora una bestia incomprensibile e inutilizzabile. Da qui il detto “la blockchain è una gran bella tecnologia ma bitcoin non funziona” senza accorgersi che la blockchain e il suo coin sono degli elementi inseparabili perché l’algoritmo che fa di una blockchain una “blockchain” richiede degli incentivi economici che solo l’esistenza di un coin nativo può garantire.

Per questo moto utenti istituzionali come banche, aziende e pubbliche amministrazioni sono da un lato attratte dall’idea ma dall’altro vorrebbero un qualche tipo di certezza sul prezzo e sulla legalità delle operazioni.

Ricordiamoci che bitcoin, ether, e le principali criptovalute sono regolate da protocolli informatici che non tengono in nessuna considerazione i contratti cartacei, le scritture private, gli atti giudiziari le leggi o le costituzioni statali. I protocolli delle criptovalute non conoscono il concetto di giurisdizione, sono trasversali ad ogni legge di qualsiasi stato, non hanno confini doganali e fintanto che funzionano sono più forti di eventuali azioni giudiziarie perché sono basati su una legge di natura, la crittografia che è più forte di ogni legge umana.

(Momento anarchico)

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Questo vale per le criptovalute con un buon livello di decentralizzazione, per tutte le altre stiamo parlando invece di una ipotetica e non reale resistenza alla censura che alla fine è quello che conta.

 

Quali sono dunque le alternative che hanno a disposizione questi operatori istituzionali e i governi di fronte al fenomeno criptovalute? Naturalmente la prima opzione è quella di ignorarle ma è poco plausibile che questo succeda. La seconda è quella di tassarle, e questo invece è molto più probabile, un po’ come disse Faraday ai politici del suo tempo riguardo l’elettricità: “posso garantire che un giorno la tasserete”.

Una terza opzione è che gli stati nazionali emettano le loro criptovalute, e anche questo è già accaduto, ad esempio il Venezuela per far fronte ad una super inflazione che lo stesso Maduro ha consapevolmente attuato, ha emesso una criptomoneta chiamata Petro, che dovrebbe essere appunto legata al petrolio che il Venezuela possiede in abbondanza. A parte questo esperimento venezuelano, che pare non abbia ottenuto un grande successo, l’emissione di una criptovaluta di stato suona come una contraddizione in termini, ma chissà, in quest’epoca di antagonismo tra gli stati contro le banche centrali sovranazionali possiamo aspettarci di tutto.

Il ruolo di una cripto stabile

In questo vuoto tra tecnologia e istituzioni si inseriscono le criptovalute stabili create da privati. Ci sono diversi modi per implementare uno stable coin. Il modo più lineare è quello di emetterlo a fronte di un collaterale che può essere riscattato in qualunque momento dai detentori del coin. Ma anche in questo caso ci possono essere molte differenze nel modo in cui il collaterale viene creato e gestito. Uno stable coin potrebbe avere come collaterale una commodity, ad esempio l’oro.

Quindi attraverso un sistema di attestazione legale, certificato e che abbia le caratteristiche di titolo esecutivo, il possessore di un coin può in qualunque momento riscattare la quantità d’oro rappresentata dai suoi coin. In altre parole una reintroduzione del gold standard ma in una moneta privata e scambiata sulla blockchain.

Un secondo tipo di stable coin è quello che ha come collaterale una moneta statale. Valgono tutte le considerazioni già fatte per il caso precedente. Bisogna poter garantire in qualunque momento che uno stable coin possa essere scambiato con la sua equivalente quantità di moneta nazionale al pari di un assegno o di una cambiale. In questa categoria ricade il famoso e molto discusso Tether USDT, una criptovaluta scambiata su blockchain che garantisce un cambio 1:1 con il dollaro americano. Le polemiche intorno a questa moneta sono dovute alla poca chiarezza della sua gestione, almeno a detta dei suoi detrattori, e all’incertezza sull’esistenza effettiva di un collaterale in dollari equivalente al circolante in blockchain pari a oltre due miliardi di USDT.

In modo simile stanno nascendo altre monete legate alla moneta fiat come TrueUSD, Gemini dollar e il nuovissimo e franco svizzero tokenizzato (CHFt) appena annunciato da Smart Valor, che a differenza del Tether “vendono” una maggior trasparenza delle operazioni e certificazioni bancarie di maggior reputazione. Tuttavia, oltre il 90% delle transazioni nel mondo degli stable coin ad oggi resta nel circuito del Tether.

Altre categorie di stable coin

Infine le altre due categorie di stable coin sono quelle basate su collaterale in altre criptovalute e quelle basate sul signoraggio. In entrambi i casi la stabilità viene ottenuta tramite degli smart contract. Negli stable coin con collaterale in cripto, abbiamo due tipi di sottoscrittori, quelli che cedono rischi (e opportunità di guadagno) della criptovaluta volatile che possiedono (ad esempio ether) e quelli che invece vogliono speculare proprio sulla volatilità di quest’ultima.

I primi di fatto vendono i rischi ai secondi accontentandosi in cambio di un coin di valore stabile. Il tutto funziona grazie ad un prodotto derivato codificato in forma di smart contract ed eseguito direttamente in blockchain. Infine le Seigniorage Shares in cui sempre degli smart contract emettono bond e coin mimando quello che farebbe una banca centrale. Un esempio di questa categoria di coin è https://www.basis.io/

Applicazioni

Le applicazioni pratiche degli stable coin sono tante. Prima di tutto potrebbero essere un sistema di pagamento in competizione con gli attuali bonifici, più efficiente e più sicuro delle transazioni basate sul circuito bancario la cui ultima linea di difesa per quanto riguarda la sicurezza non è la crittografia ma la garanzia che riponiamo nel sistema e i costi assicurativi nascosti che servono a coprire frodi e perdite nei circuiti di pagamento.

Il secondo vantaggio di uno stable coin rispetto alla moneta fiat è la programmabilità. La rete Ethereum ha permesso di sviluppare un enorme ecosistema intorno al concetto di Dapp (applicazione decentralizzata) e smart contract che coglie il senso di “denaro programmabile”.

Uno stable coin che dovesse avere caratteristiche di compliance (ovvero rispetto di vincoli legali posti dalla giurisdizione di riferimento) e la capacità di operare come una criptovaluta (transazioni trasparenti in una blockchain non censurabile) programmabile (esecuzione di smart contract) potrebbe venir accettata e utilizzata in ambiti come quello della pubblica amministrazione per automatizzare flussi di cassa per finanziamenti alla ricerca, sussidi alle aree svantaggiate, aiuti in caso di emergenze umanitarie e molto altro.

Naturalmente tra il dire e il fare c’è di mezzo “il diavolo”. La necessità di fiducia è una cosa che si può rimuovere da una parte ma che poi ricompare da qualche altra, specialmente in un sistema ibrido dove una stable coin “autorizzata” molto probabilmente non godrebbe della resistenza alla censura che invece è una delle caratteristiche principali delle criptovalute come bitcoin, ether, monero eccetera

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