Le criptomonete sono veramente monete?
Forse no, forse sono non monete. Chi spenderebbe veramente un bitcoin per comprare qualcosa oggi? Io personalmente no. Penso nessuno con un minimo di raziocinio lo faccia veramente e sistematicamente. La ragione è molto semplice, come posso permettermi di spendere oggi un bitcoin quando magari fra un mese il suo valore sarà raddoppiato. Si chiama deflazione, il bitcoin è una moneta deflazionaria se mi passate il termine, non sono un esperto di teoria monetaria, ma non ci vuole molto a capire che questo rende i bitcoin praticamente inspendibili.
In teoria Satoshi Nakamoto ha creato un sistema decentralizzato ma che garantisse contro il double spending, la potenza della sua soluzione è notevole e sotto gli occhi di tutti. Tuttavia la politica monetaria scelta ha portato ad impedire (o a rendere poco praticabile) anche il single spending o il legit spending per le ragioni che abbiamo appena visto.
Le criptomonete più che delle monete, forse sono le nuove dotcom.
E qui faccio questa congettura sapendo di attirarmi le peggiori flame. Il paragone sembra molto stirato ma in effetti ci sono alcuni indizi che portano a questa conclusione ed in secondo luogo se la storia si ripete in genere lo fa con schemi e attori a prima vista irriconoscibili, poiché siamo portati a pensare che le prossime dotcom dovrebbero essere delle aziende registrate a qualche camera di commercio e non delle community. E invece parte della rivoluzione sta proprio qui.
Partiamo dalla tecnologia. Così come il web negli anni 90 era nient’altro che un protocollo facile, decentralizzato ed efficace per trasferire l’informazione fra i computer, il protocollo che governa la block chain (d’ora in poi la chiamerò blockchain, termine mai usato da Satoshi, ma comunemente usato oggi e forse un po’ inflazionato) è esso stesso un modo decentralizzato ed efficace per creare e trasferire un’attestazione notarile attraverso la rete ma senza un notaio. Da qui la creazione di moneta, o forse l’equivoco della creazione di moneta.
Satoshi Nakamoto ha definito il concetto, l’ha creato e poi ha regalato l’embrione che si è successivamente sviluppato all’interno della comunità Bitcoin che come spesso accade nel mondo del software assume i connotati dei movimenti religiosi, con correnti più o meno fondamentaliste ed altre più tolleranti. Fa un po’ paura vedere come i brani del paper di Satoshi vengano a volte citati come verità incontrovertibili, una specie di vangelo, una redutio ad satoshium (come la hitlerium ma al contrario) che dovrebbe mettere a tacere le dispute.
Vitalik Buterin è il traditore (ok anche Mike Hearn, ma il tradimento è meno interessante), l’anticristo, colui che ha sfidato il Verbo con la creazione di Ethereum. Se con Bitcoin non era ancora chiaro che le cripto sono le nuove dotcom, Ethereum fornisce i primi segnali di questa trasformazione del concetto di comunità open source in cripto azienda. Ethereum non vuole essere una startup o un unicorno ma promette una piattaforma di calcolo decentralizzato e vuole farsi finanziare attraverso i bitcoin. Vitalik e soci vendono con la cosiddetta presale le quote della nuova società (o cripto azienda) che si chiamano ether, dicendo appunto che questi sarebbero stati la benzina della nuova piattaforma. Ma gli ether sono anch’essi in realtà le share dell’azienda Ethereum.
Il caso di Ethereum non è il primo e neanche l’ultimo, è forse solo il più importante ed emblematico. In realtà ogni altcoin è una nuova azienda. In alcuni casi viene fondata attraverso una ICO o crowdsale come Ethereum, Synereo, Melonport mentre in altri no, è semplicemente uno sforzo di una team che poi riesce a ottenere una massa critica di utenti e poi vengono quotati in qualche grande exchange. Ci sono centinaia di altcoin. Se si mettono in ordine di capitalizzazione Bitcoin risulta più grande della somma di tutte le altre messe insieme, e varie volte. Ma questo è normale. E’ la power law, una legge naturale che regola molti aspetti della nostra vita che riprenderemo in seguito. E’ un mercato in cui l’incumbent è Bitcoin, gli altri devono trovare i loro spazi, questi spazi sono pochi e le alt devono veramente trovare una value proposition convincente. Si è cominciato con Litecoin. Value proposition = tempo di blocco più breve e mining con PC. Non è stata una value proposition così convincente anche se ha avuto il suo momento di gloria.
Quando guardiamo la pagina di coinmarketcap.com stiamo assistendo in realtà ad uno stock exchange naturale di un nuovo settore industriale, senza autorità di controllo e che risponde direttamente alle forze naturali del mercato. La cosa interessante è che chiunque può acquisire le quote di queste nuove società comprando direttamente i loro coin.
Cosa producono queste cripto aziende?
Abbiamo già visto che le cripto non sono monete per sé, almeno per ora sembra impossibile che i bitcoin sostituiscano i dollari o gli euro visto che sono by design deflazionistici e nessuno li vuole spendere davvero. Magari accumulare sì, ma non certo spenderli per comprare una pizza. La famosa pizza di Laszlo pagata 10000 bitcoin all’alba dei tempi oggi risulterebbe costare oltre $10M. Laszlo non era certo uno stupido, all’epoca era necessario fare questo scambio per stabilire un prezzo diverso da zero. Il pizzaiolo diede al bitcoin la sua prima quotazione di mercato, 1/10000 di pizza.
Quindi cosa producono le cripto aziende? Producono un servizio notarile globale e decentralizzato. E questo sicuramente è un valore. Pensiamo ad esempio quanto ci costa un notaio per un semplice avvallo di un contratto. Bene, in questo caso il contratto è quello che dei crediti sono riconosciuti ai possessori di determinate chiavi crittografiche e che questi crediti possono essere movimentati all’interno di un registro che nessuno è in grado di manomettere e che nessuno di fatto controlla.
Il denaro stesso potrebbe essere un prodotto derivato dalle verità crittografiche prodotte dalle criptovalute. Dovrebbe essere però un denaro digitale capace di mantenere un valore abbastanza stabile. Bitcoin potrebbe essere il nuovo gold standard di un denaro che possa risultare né inflazionistico né deflazionistico. La realizzazione del denaro privato di Hayek come suggerisce Ferdinando Ametrano?
Bitcoin e i suoi piccoli fratelli quindi non sono dei protocolli informatici, o meglio non sono solo dei protocolli informatici come lo è ad esempio HTTP, sono invece dei sistemi in equilibrio economico analizzabili attraverso la teoria dei giochi.
Mantenere questo equilibrio costa, in particolare nel caso di Bitcoin costa energia elettrica che in modo più o meno indiretto è convertita in integrità del sistema. Senza l’incentivo economico sparisce l’integrità, sparisce l’utilità, sparisce la blockchain. Non c’è blockchain senza coin e non c’è coin senza blockchain.
Qui si intende sempre una blockchain pubblica e permissionless. Ma d’altronde quali altre blockchain ci possono essere se non pubbliche e permissionless. Il modello di attacco che ha reso Bitcoin e i suoi piccoli fratelli unico è quello di un mondo in cui nessuno è autenticato, nessuno è incaricato di mantenere la master copy del registro, dove tutti possono accedere con identità multiple e dove tutti sono potenzialmente intenzionati ad imbrogliare creando copie non regolari della blockchain per trarne profitto. Questo modello di attacco non può allo stato dell’arte essere sostenuto se non con una blockchain basata su proof of work e, forse, proof of stake. Se il modello di attacco è più mite di quello descritto sopra, allora basterebbe un database transazionale.
Il CEO della cripto dotcom è il capo del software.
O meglio il board delle cripto dotcom è quel manipolo di developer che controlla il protocollo. Infatti la decentralizzazione è un concetto a volte citato a sproposito. Chiariamo subito che “decentralizzato” è un attributo più forte di “distribuito”. Anche Google ha un sistema di server distribuito, ma dato che sono tutti suoi non c’è nessuna decentralizzazione. La decentralizzazione è legata al controllo e alla proprietà della rete. In realtà nel caso di Bitcoin e di altre cripto ci sono almeno due livelli, un livello di diciamo esecutivo fatto da chi applica il protocollo. Poi c’è un livello strategico o di governance, ossia chi decide come deve essere cambiato il protocollo e quindi quali saranno le sue evoluzioni. Chi controlla la reference implementation in termini di codice di fatto controlla la rete, ha in mano la governance ed è di fatto equivalente al board of executive di un’azienda tradizionale. Bitcoin Core è il l’attuale board della cripto dotcom Bitcoin.
Bitcoin è un’azienda B2B (business to business) ed i suoi clienti diretti sono i miner. I miner per definizione minano, sono i fruitori del protocollo, e traggono profitti dal mining stesso e dalle fee.
I detentori dei bitcoin sono i proprietari pro quota dell’azienda Bitcoin. Ogni satoshi una share. Ma nel caso di Bitcoin come esercitano il diritto di voto questi proprietari di share? Non esiste in Bitcoin un meccanismo diretto con cui eleggono ad esempio il nuovo board o approvano il bilancio. I miner invece hanno più possibilità di influenzare il core team. Se ai miner non piace il core team i miner possono decidere di cambiare core team, ad esempio mettendo in funzione un nuovo software per il nodo, con un protocollo diverso, un blocco più largo o più stretto.
La scalata ostile a Bitcoin
Bitcoin Unlimited è iniziato come la scalata all’azienda Bitcoin. Gli attuali manager ovviamente non l’hanno presa bene. Solo il core team decide quanto si fa grande il blocco. Non m’interessa qui stabilire se è meglio Segwit o il blocco grande subito o qualunque altra soluzione tecnica. Mi interessa invece mettere in evidenza come l’attuale guerra sul blocco è in pratica una mozione di sfiducia verso l’attuale core team da parte di un altro team che vuole prendere il controllo.
Questa scalata ostile non è la prima e non sarà l’ultima. Anche Ethereum ha avuto i suoi bei trascorsi. Ricordiamo il famigerato theDAO hack. Una discreta percentuale di ether sifonati per un banale errore di programmazione di un contratto, non del mining software. Perché Vitalik e co. Hanno voluto a tutti i costi vandalizzare la blockchain dimostrando che l’immutabilità è in realtà derogabile se si dispone di una sufficiente forza di governance sul protocollo? Ma perché forse c’era in ballo molto più dei tanti ether sifonati, c’era in ballo la roadmap stessa di Ethereum che volendo passare ad un modello basato su proof-of-stake si sarebbe trovata con un grande e brutto cliente in grado di mettere la stake più alta, ovvero l’hacker.
Fare o non fare un hard fork porta delle conseguenze perché in tutt’e due i casi si tratta di scelte. Nel caso di Ethereum ha generato una sub cripto, l’Ethereum Classic che si acclama custode dell’immutabilità e che nei suoi giorni migliori ha sfiorato il 30% della capitalizzazione di ether. Nel caso di Bitcoin al contrario non si vuole fare l’hard fork e questo fa sì che qualcun altro magari lo faccia e si porti via i clienti, cioè i miner.
Anche la neonata e finora poco capitalizzata Zcash ha avuto il suo fork, con una subcommunity che apprezza sì il protocollo ma non vuole la company a gestirlo. Tutto molto legittimo e interessante ma anch’esso una scalata ostile.
Le élite.
Così come nelle startup chi mette un piccolo gettone all’inizio diventa miliardario quando queste si trasformano in unicorni, anche nelle cripto dotcom succede la stessa cosa. Chi ha minato i bitcoin nel 2010, o chi li ha comprati in massa nel 2011 oggi ha in mano una significativa porzione dell’azienda Bitcoin senza però i mezzi per poter controllare cosa fanno i suoi amministratori. Ci saranno ad oggi un manipolo di bitcoiner early adopter che possiedono il 95% di tutti i bitcoin in circolazione. Se i bitcoin fossero veramente tutti i soldi del mondo questo configurerebbe forse lo scenario di maggiore diseguaglianza sociale mai visto nella storia dell’umanità. Ma allora che cos’è la rivoluzione sociale e libertaria promossa dalle criptovalute? Rimpiazzare l’attuale sistema iniquo di creazione di denaro, di schiavitù liquida basata sul debito e sul credito con un nuovo sistema anch’esso iniquo in cui pochissimi attori possiedono la maggior parte della ricchezza?
La bolla? subito per piacere
I cripto anarchici sognatori che oggi acquistano i bitcoin a 1000$ allora sono degli stupidi che stanno entrando in un Ponzi? Se la cripto moneta per eccellenza non è una moneta allora in cosa consiste il sogno? Domande che non trovano risposta qui purtroppo. E poi in fondo non è forse vero che quasi tutto è un Ponzi, dalla vendita delle indulgenze all’acquisto dei derivati.
In realtà la guerra su Bitcoin oggi non risponde a queste domande. E’ una guerra per il controllo della più importante cripto. Ma se il valore ed il beneficio delle cripto nella loro interezza non dovesse essere quello prospettato allora meglio la bolla. Meglio l’esplosione subito. Meglio che immediatamente si trovi o si ritrovi il senso della meravigliosa invenzione tecnica del Bitcoin ma che porti beneficio a tutti e non sia una mega speculazione ai danni di chi arriverà dopo. In fondo dopo la bolla delle dotcom è nato il web come lo conosciamo oggi. Per il resto, l’élite ci sarà sempre e comunque per via della power law, ma alla base la sotto deve arrivare qualcosa di buono e non solo la cacca di piccione.
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